Occhio al cocktail!

Consultique
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Occhio al cocktail!

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Fondi  -  È boom di raccolta per i multi-asset, ma sotto questa etichetta si celano prodotti con ingredienti e costi molto diversi.
 
Grandi aspettative e, troppo spesso, scarsi risultati. Intorno al concetto del multi-asset le definizioni sono molteplici. In sintesi si tratta di fondi che, svincolati dal benchmark, hanno come obiettivo il controllo della volatilità spaziando tra le varie asset class con una logica flessibile e diversificata. Ma il mercato è così affollato che occorre fare chiarezza. Con questa dicitura si trovano fondi total e absolute return, smart e alternative beta, i vecchi bilanciati (che poi si distinguono in base alla differente quota azionaria), i fondi flessibili. Ma la capacità dei fondi multi-asset di diversificare è ancora efficace o hanno ormai perso smalto? Sono soluzioni adatte solo al retail o hanno commissioni troppo elevate?

Sono queste alcune domande a cui ha risposto Christian Hille, head of multi asset Emea di Deutsche Asset Management. Per esempio, c’è chi pensa che questi fondi siano simili a fondi hedge, ma meno costosi. «Vero», dice Hille, «almeno negli ultimi cinque anni. La performance di un hedge fund medio deriva per una grande parte dall’andamento globale di mercato delle classi di asset presenti in portafoglio. Risultato: i prodotti multi-asset hanno superato anno dopo anno la performance degli indici di hedge fund ampiamente diversificati, misurata in termini di rendimento assoluto e corretto per il rischio». Sottolinea: «Esattamente come in altre categorie di fondi attivi se ne trovano molti che non si discostano mai dall’indice di riferimento, molti prodotti venduti con l’etichetta multi-asset sono in effetti molto simili ai buoni vecchi fondi bilanciati. Per esperienza posso affermare che circa un terzo di queste soluzioni sono composte da quote fisse in azioni e obbligazioni e di fatto seguono sempre e di pari passo i benchmark statici.

Ci sono tuttavia altrettanti prodotti, in cui l’asset allocation strategica è gestita in modo estremamente attivo. Di conseguenza alcuni sono ai primissimi posti della classifica in termini di performance e ciò serve a stimolare notevolmente i flussi d’investimento. C’è poi circa un terzo di altri prodotti che a nostro avviso riesce a ottenere rendimenti di alto livello da budget di rischio predeterminati». Il successo di questi fondi si inserisce nell’attuale difficoltà per gli investitori di trarre rendimento da un contesto di mercato spesso di difficile interpretazione. Con l’azionario americano sui massimi, quelli europeo, giapponese e emergente spesso segnati da volatilità e poca direzionalità e un obbligazionario dai rendimenti scarsissimi, la fonte di performance potrebbe essere ricercata alternativamente nel timing allocativo nelle diverse asset class.
pg.2 (intervento Andrea Cattapan)
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«È questa l’idea di base di questi fondi, che puntano sulla dinamicità e sulla flessibilità operativa, promettendo o inseguendo rendimenti anche significativi e volatilità sotto controllo. Tecniche di gestione che includono l’uso dei derivati sono basilari in questo tipo di approccio, per cercare quindi performance in diverse contingenze di mercato, anche sfavorevoli», taglia corto Andrea Cattapan, analista finanziario di Consultique sim. E precisa: «Tipicamente questi fondi, oltre a indicare un target di rendimento, inquadrano anche un range di volatilità, in modo da esprimere un livello di rischio atteso. Dovrebbero cercare anche di varcare il confine della categoria dei classici bilanciati-flessibili perché includono anche asset class non tradizionali, come le commodity o le valute». Sembra quindi che per il retail sia nata una tipologia capace di stabilizzare i rendimenti e di offrire quel tipo di gestione finora appannaggio dei fondi speculativi. Prosegue l’esperto: «il bilancio degli ultimi anni mostra che alle promesse non sono sempre seguiti i fatti. La resa di questi fondi spesso ha disatteso l’investitore per due aspetti. Il primo sono gli alti costi di gestione, in media tra l’1,50 e il 2%: oneri che bastano a limare delle rese già non eccezionali. Spesso i fondi multi-asset hanno anche costi di sottoscrizione e commissioni di performance non trascurabili». Inoltre, il contributo alle performance di portafoglio nel lungo periodo non viene tanto dal timing ma da una asset allocation ben diversificata soprattutto in termini di fattori di rischio.

Come sceglierli quindi? Innanzitutto «gli investitori dovrebbero essere in grado di valutare i risultati dei fondi nel lungo periodo e in diverse condizioni di mercato. Il team di gestione è riuscito a proteggere il capitale durante le fasi di volatilità e di ribasso? Questo è un fattore ben più importante della capacità di generare ritorni quando i mercati salgono. Per valutare correttamente un fondo multi-asset, però, occorre che il gestore abbia una lunga esperienza sui mercati e una serie storica consolidata di risultati da mostrare agli investitori», afferma Marco Palacino, managing director per l’Italia di Bny Mellon Investment Management. Ovviamente questi non sono indicativi dei rendimenti futuri, tuttavia costituiscono un buon indicatore di come l’asset manager abbia saputo gestire le crisi passate. «In secondo luogo bisogna valutare la liquidità e la trasparenza degli strumenti in portafoglio», avverte Palacino, Infine, conclude Palacino, bisogna chiedersi se il team di gestione sia sufficientemente attivo e dinamico nelle proprie decisioni d’investimento o se invece il fondo multi-asset si limita a incorporare i titoli con il maggior peso nei vari listini, di fatto replicando gli indici. A questo proposito un consiglio pratico arriva da AdviseOnly: «Leggere bene il materiale informativo prima di acquistare il fondo, verificare che la strategia di gestione preveda investimenti in varie asset class, soprattutto se si intende investire una porzione rilevante del patrimonio, valutare molto bene il rischio del prodotto (espresso nel Kiid, il documento informativo previsto dalla direttiva Ucits, ndr) che dà informazioni chiave per capire il fondo», afferma Raffaele Zenti, co-fondatore di AdviseOnly. «In ogni caso, è bene non comprare prodotti che non si capiscono o che hanno un rischio troppo elevato, ma attenzione senza rischio non può esserci rendimento. Infine, valutare i costi, unica componente sostanzialmente certa dell’investimento. Per questi investimenti i Ter (Total expense ratio, l’indicatore sintetico del costo dei fondi, ndr) variano da alcune decine di punti base fino a 3-4% o più, ogni anno. Del resto, non occorre grande esperienza per capire che per recuperare commissioni elevate occorrerebbero performance eccezionali». Eppure, se scelti bene, questi fondi possono dare soddisfazione tanto che un report di Goldman Sachs sui titoli del risparmio gestito premia chi in Italia sta gestendo la rotazione dal reddito fisso al multi-asset. Secondo lo studio, il 43% dei fondi europei è investito in reddito fisso, il Ter dei fondi obbligazionari (1,2%) è superiore al rendimento di un basket di titoli di stato europei a cinque anni (0,6%) e persino a 10 anni (1,1%). E solo l’11% dei fondi obbligazionari in Europa ha un Ter inferiore a un titolo governativo francese a 10 anni. Persino il 25% dei corporate bond fund ha un Ter che non copre la media del rendimento. Si legge nel report che «questa situazione favorirà la rotazione dai fondi obbligazionari a quelli multi-asset, soprattutto nel canale retail». Goldman Sachs raccomanda quindi grande selezione e, tra i titoli suggeriti, ci sono Schroders «per la ricca proposta multi-asset per il retail sebbene il mercato stia aspettando comparti a minore volatilità», Man Group, Banca Generali e Azimut «titoli raccomandati per avere esposizione sul settore dato che sono asset manager che hanno saputo gestire la rotazione dal fixed income ai prodotti multi-asset».

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