L'impatto della crisi finanziaria: i diversi scenari in Europa

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L'impatto della crisi finanziaria: i diversi scenari in Europa

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a cura dell'Ufficio Studi e Ricerche Consultique
 
Dopo la crisi economica mondiale, la cosiddetta Troika costituita dal Fmi, dalla Commissione Europea e dalla Bce ha varato significativi programmi di assistenza finanziaria, a sostegno dei paesi in crisi da debito sovrano, tra cui: Grecia, Irlanda e Portogallo. Il primo Stato a richiedere gli aiuti europei fu la Grecia, dove la crisi era iniziata a fine 2009 con la dichiarazione del Primo Ministro sulle falsità di bilancio, finalizzate all’entrata del paese nell’Ue, sollevando preoccupazioni sulla solidità del sistema finanziario greco. Il deficit di bilancio del 2009 risultava pari al -15,10% e la crescita del Pil registrava una contrazione del 4,30%, per poi peggiorare ulteriormente raggiungendo il -9,10% nel 2011. I timori sulla crisi del debito sovrano avevano causato il crollo del rating del paese a livelli definiti “junk”, ovvero spazzatura, con un aumento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato; i Cds, nel 2012, raggiunsero infatti picchi record. La Grecia ottenne un piano di salvataggio a maggio 2010, per un importo pari a 110 miliardi, e a febbraio 2012, pari a 130 miliardi, a fronte di un piano di severe austerità, che comportarono manifestazioni e proteste pubbliche. Il piano del 2012 prevedeva, inoltre, una ristrutturazione del debito, a seguito della quale gli investitori privati accettarono una perdita del 50% del valore nominale del credito. Nonostante tutto il supporto ricevuto, la Grecia negli ultimi anni non ha registrato una ripresa economica, a eccezione di un lieve miglioramento nella crescita del Pil nel 2014 e una riduzione del deficit di bilancio: il rapporto debito/Pil resta sempre molto elevato, circa il 170%, e la disoccupazione presenta livelli pari al 25%. Nel 2016 la situazione risulta ancora molto grave, pertanto è stato previsto per fine giugno il versamento di ulteriori aiuti finanziari, pari a 7,5 miliardi, e altri 2,8 a fine estate; inoltre, su richiesta del Fmi è stato approvato un alleggerimento degli oneri sul debito del paese. Diversa è l’evoluzione registrata dallo Stato irlandese, che negli anni 2000 fino allo scoppio della crisi finanziaria presentava una fase di forte espansione economica, con una crescita del Pil nel 2006 pari al 6,35%, superiore alla media europea. Lo scoppio della crisi finanziaria, e in particolare quella immobiliare, comportarono un crollo delle entrate fiscali sulle proprietà e un impatto molto negativo sulle banche, a causa degli innumerevoli investimenti finanziari passati, mentre il Pil iniziò a registrare valori negativi, con la contrazione più significativa nel 2009, pari a -5,70%.
 
L’intervento del governo, con la conversione del debito bancario in debito sovrano, comportò elevati costi, con un significativo e rapito aumento sia del debito pubblico - il cui rapporto con il Pil passò dal 20% del 2006 al 94,60% nel 2010 - sia del deficit di bilancio, che passò da livelli pre-crisi, pari a circa il 2% in rapporto con il Pil, al -32,10% nel 2010. Le difficoltà emerse nel salvataggio del credito nazionale fecero sorgere i primi dubbi sulla solvibilità del paese, con un aumento del costo del debito: i Cds raggiunsero, infatti, valori pari a circa 1.195 punti. L’Irlanda fu costretta, quindi, a chiedere assistenza finanziaria all’Uee al Fmi: a novembre 2010 venne concesso un piano di sostegno dalla durata di tre anni, per un importo pari a circa 85 miliardi - di cui 35 per il salvataggio del sistema bancario - a fronte del quale il paese prese l’impegno di attuare manovre di bilancio e fiscali, con un significativo aumento delle tasse per i cittadini. Grazie agli aiuti europei, negli ultimi anni l’economia irlandese sta crescendo a ritmi molto rapidi, presentandosi come uno dei paesi modello…
 
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…per il superamento della crisi. In piena indipendenza finanziaria da inizio 2014, l’Irlanda ha infatti mostrato un tasso di crescita del Pil sempre maggiore, fino a raggiungere un massimo del 7,8% nel 2015, diventando l’economia migliore dell’Eurozona, grazie soprattutto all’export con Usa e Uk, alla stabilizzazione del sistema bancario e alla ripresa del mercato immobiliare. La disoccupazione resta a livelli elevati e di molto superiori ai livelli pre-crisi del 4%, quando presentava valori tra i minimi d’Europa, ma risulta in continuo calo rispetto al picco del 15% tra il 2011 e 2012, così come in calo sono il debito pubblico e il deficit.
 
Il Portogallo già nella fase pre-crisi presentava indicatori macroeconomici non ottimali: il Pil, nel 2006, mostrava infatti una crescita di appena l’1,55%. Lo scoppio della crisi aveva fatto registrare un forte incremento sia del debito pubblico - che passava da circa il 65%, in rapporto al Pil, nel 2006 al 123% nel 2009 - sia del deficit di bilancio - che in rapporto al Pil scendeva dal -4,60% del 2006 al -11% del 2010 - con un aumento del grado di rischiosità. Il governo, a fronte del rischio di default del paese, con i Cds che registravano valori superiori a 1.500 punti, chiese l’assistenza finanziaria europea, ad aprile 2011, dalla quale venne concesso un finanziamento di 78 miliardi di euro, a fronte di un aumento della tassazione e di una riduzione della spesa pubblica. A fine 2014, il paese è uscito dal programma d’aiuto con un disavanzo in calo, che nel 2015 ha raggiunto il -4,4% del Pil dato comunque influenzato dall’operazione di risoluzione per il salvataggio della banca portoghese Banif mentre persiste il problema del debito pubblico, che registra un trend crescente, fino a raggiungere livelli molto elevati, pari a circa 130% sul Pil, nel 2015. Il Pil ha registrato il primo valore positivo nel 2014, con una crescita dell’1,5% nel 2015, e dopo una contrazione del 4,10% del 2012, sostenuta dalle esportazioni e dal turismo. La disoccupazione, infine, resta a livelli molto elevati, pari a 12,4% nel201 5, ma inferiori al picco del 15% nel 2012. L’indice azionario principale della Grecia, I’Athex 20, dopo il crollo registrato nel 2008, ha mantenuto per i successivi anni dei livelli minimi, senza mostrare una significativa ripresa. Il benchmark dell’Irlanda, l’lseq 20, dopo il punto di minimo raggiunto a inizio 2009, presenta invece una forte ricrescita, con un trend che si mantiene in costante rialzo. Il mercato azionario del Portogallo, infine, rappresentato dall’indice Psi 20, è quello che registra la maggior volatilità dei tre, e nel 2016 presenta ancora valori inferiori al periodo di crisi del 2008.
 
Per Grecia e Irlanda è possibile esporsi sull’indice azionario del relativo paese attraverso un solo Etf; in particolare, quello sulla Grecia prevede un’esposizione per il 44% circa al settore finanziario e del 15% in beni primari e voluttuari, mentre l’Etf sull’Irlanda è esposto per valori pari a circa il 25% ciascuno sui settori industriale, dei beni di consumo ciclici e delle materie prime.
 
Per accedere al Portogallo sono disponibili due prodotti, di cui uno a leva lunga 2x, esposti principalmente ai settori dei servizi di pubblica utilità, dei beni di consumo difensivi e dell’energia.
 
Tutti gli Etf sono a replica sintetica, a eccezione di quello irlandese, che effettua una replica a fisica completa; si evidenzia, inoltre, come l’unico prodotto quotato su Borsa Italiana sia l’Etf sulla Grecia, mentre i restanti strumenti sono disponibili soltanto sulle Borse di Londra o Francoforte (vedi tabella 1).