Big Tech: Perfino Google paga pegno alla crisi dei big del digitale

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Big Tech: Perfino Google paga pegno alla crisi dei big del digitale

PERFINO GOOGLE PAGA PEGNO ALLA CRISI DEI BIG DEL DIGITALE
PERFINO GOOGLE PAGA PEGNO ALLA CRISI DEI BIG DEL DIGITALE

Il Dipartimento di Giustizia americano si appresta a intentare una causa per condotta anticoncorrenziale contro la piattaforma, che ha raggiunto una market share dell’88%. Secondo lo strategist il titolo della holding Alphabet resta comunque una buona scelta di investimento.

Da osservati speciali a soggetti indagati. Dopo un anno di indagini avviate dal Congresso a guida democratica, la prima Big Tech a finire sotto accusa è stata (martedi 20 ottobre) Google, nei confronti della quale il Dipartimento di Giustizia si appresta a intentare una causa per condotta anticoncorrenziale. La tesi è che il colosso di Mountain View abbia usato i soldi guadagnati con la pubblicità sulla propria piattaforma per spingere i produttori di smartphone e browser a privilegiare Google come motore di ricerca predefinito. Il fatto che il loro algoritmo sia il migliore, e quindi di gran lunga il preferito dagli utenti, è la linea di difesa dell’azienda. “Velocità e completezza nelle ricerche, grazie a una tecnologia algoritmica molto sofisticata, hanno reso la holding Alphabet un player praticamente imbattibile”, conferma Andrea Cattapan, analista di Consultique SCF. Che aggiunge: "Alphabet, tramite la divisione operativa di Google, è di fatto il soggetto dominante nel mondo dei servizi delle ricerche online e dell’advertising ad esso legato”. Una situazione di dominio della rete praticamente ininterrotto negli ultimi dieci anni: sul mercato americano la market share di Google non è mai stata inferiore al 78%, ma ha registrato picchi che hanno sfiorato il 90% (fonte, Statcounter data). Gli ultimi rilevamenti vedono Google all’88%, con quote residuali per Bing (7%) e Yahoo (3%), a conferma del sostanziale monopolio. Grazie agli enormi cash flow degli ultimi anni, la società ha potuto investire continuamente nel proprio business. A fine 2019, l’83% dei ricavi di Alphabet era legato al business dell’advertising, mentre nel frattempo nell’attivo sono stati accumulati 120 miliardi di cassa, utili anche a fronteggiare, come spesso è capitato in questi anni, multe per altri procedimenti antitrust.

Quest'ultimo procedimento è senza dubbio il più corposo e ambizioso, e mira comunque a eliminare le distorsioni del mercato delle piattaforme online, ma nell’accezione americana del termine. “L'obiettivo non è tanto quello di controllare in sé il mercato, ma di evitare limitazioni allo sviluppo del business e all’interesse generale - spiega Cattapan – In ogni caso la causa sarà lunga e complessa, ed è difficile dire ora dove potrà colpire il business di Google”. Per ora il titolo in Borsa non ha risentito del flusso di notizie settimanale: nella seduta di martedì, quella dell’annuncio formale della procedura, il titolo ha chiuso le contrattazioni in rialzo dell’1,38 per cento. “Gli investitori per il momento ritengono che lo scenario ‘spezzatino’ sia molto lontano e si preoccupano maggiormente di altre dinamiche più legate all’andamento macroeconomico”, dice Cattapan. In ogni caso, secondo lo strategist, le prossime elezioni potrebbero accelerare qualche intervento normativo, ma il fatto che Google sia un player mondiale che gioca la sua partita anche contro società di Paesi in competizione tecnologica con gli Usa suggerisce che avrebbe poco senso per un qualsiasi governo americano andare a favorire, per esempio, una Baidu cinese o qualche altro concorrente. “Ci saranno senz’altro interventi, ma in tempi lunghi e probabilmente limitati, come qualche limite aggiuntivo a livello tecnologico”, afferma Cattapan. Che conclude: “In tale ottica, Alphabet appare comunque ancora una buona scelta, sia per le ampie disponibilità di investimento, sia per la possibilità di diversificare il proprio business su altre attività, come il cloud”.