Fonte: Il Sole 24 Ore; 11/09/04
Rendimenti / Il confronto tra Tfr e Pac
Gli obbligazionari battono l’azienda
Ampio è il dibattito sui rendimenti che i lavoratori potranno attendersi nel destinare il trattamento di fine rapporto (TFR) alla previdenza complementare, abbandonando la bassa ma sicura rivalutazione (1,5% + 75% dell’inflazione) ottenuta lasciando lo stesso in azienda. Un primo passo è individuare quali sono gli asset che, nel lungo periodo, saranno in grado di “garantire” una rivalutazione superiore a quella aziendale. In secondo luogo è necessario, una volta scelto il benchmark, domandarsi se i corrispondenti fondi pensione saranno in grado, se non di batterlo, almeno di replicarlo. Dai risultati forniti dalla Covip, la performance generale dei fondi pensione aperti, calcolati sulla base degli indici di capitalizzazione dalla fine del 1999 alla metà del 2003, è stata del -13,9%, in generale migliore del rispettivo benchmark che ha realizzato un -19,9%. Per quanto riguarda le singole tipologie di comparto, emerge che gli azionari e i bilanciati battono il proprio benchmark (-27,4% contro -35,9% nel primo caso e -9,5% contro il -14,5% nel secondo caso). Risultano, invece, strutturalmente sotto il benchmark gli obbligazionari puri +15,9% rispetto al 20,5%. Nello stesso periodo, il tasso di rivalutazione del TFR è stato del 14%, battuto di poco solo dagli obbligazionari puri, mentre gli obbligazionari misti realizzano una performance di periodo del 10,4%. Purtroppo la storia di questi strumenti previdenziali è troppo breve per portare a delle conclusione attendibili.
Secondo la stessa Covip, gli indicatori più utilizzati nei benchmark dei fondi pensione aperti sono in prevalenza i JP Morgan, per la componente obbligazionaria, e i Morgan Stanley, per la componente azionaria. In particolare, il JP Morgan (JPM) Government Bond index Emu, composto da un paniere di titoli di stati appartenenti all’area euro a tasso fisso con scadenza almeno pari ad un anno, risulta l’indicatore obbligazionario più utilizzato, mentre il Morgan Stanley Capital International (MSCI) World index, composto dalle azioni negoziate nelle principali borse mondiali, nella versione in dollari convertiti in euro, rappresenta l’indicatore azionario di uso più frequente. Se sono quindi questi gli indici più rappresentativi, proviamo a verificare il loro comportamento nel passato, confrontandoli con il tasso di rivalutazione del TFR, tenendo in considerazione che l’analisi storica di profittabilità dipende dalle dinamiche di mercato.
Prendendo dunque a riferimento gli indici così individuati, ad eccezione del MSCI World considerato nella versione comprensiva dei dividendi, verifichiamo gli effettivi rendimenti al lordo di costi e tasse che si sarebbero ottenuti attraverso un piano di accumulo (Pac) di 100 euro mensili da gennaio 1995 a luglio 2004. Tale periodo è caratterizzato dalla crescita del mercato azionario mondiale che ha raggiunto il suo apice con l’esplosione della bolla speculativa del 2000 per poi subire una rapida discesa seguita negli ultimi tempi da un inizio di ripresa, mentre i tassi di interesse e l’inflazione hanno seguito un variegato percorso di discesa. Questo scenario storico dei tassi di interesse e dell’andamento dei mercati azionari ha prodotto i risultati visibili nel grafico e nella tabella riportata.
L’investimento nell’indice MSCI World in Euro ha generato un capitale finale di 12.762 euro pari ad un rendimento annuo composto del 2,18% rispetto ad un totale investito di mese in mese nel periodo di 11.500 euro, in quasi 10 anni di investimento. L’indice obbligazionario JPM EMU Government bond ha maturato un montante pari a 15.591 euro nello stesso periodo pari a un rendimento annuo composto dell’6,29%. Risulta quindi che l’investimento azionario, comprensivo dei dividendi, ha reso di meno dell’investimento nell’indice obbligazionario considerato. L’accumulo nei rendimenti prodotti dalla rivalutazione del TFR ha dato in media il 3,22%, performance superiore dell’1,04% a quella del mercato azionario, ma inferiore a quella del mercato obbligazionario. Se ne deduce che il risparmiatore italiano avrebbe conseguito, nel periodo considerato, rendimenti migliori rispetto all’investimento del proprio TFR in un piano esclusivamente azionario. Migliore sarebbe stata una soluzione che avesse assegnato maggior peso agli investimenti nei mercati obbligazionari governativi, meno volatili e rischiosi di quelli azionari. Purtroppo la storia ci insegna che nel lungo periodo non è automaticamente vero che il mercato azionario batta quello obbligazionario e che quindi vada sempre sovrappesato. Le rendite pensionistiche in nessun caso possono essere soggette all’aleatorietà dei mercati finanziari. A conferma di ciò, da uno studio Irsa-Eurisko, emerge che nella percezione degli italiani il concetto di previdenza sia del tutto separato da quello di investimento. Solo una basso numero di lavoratori accetta l’idea che il livello delle pensioni debba essere determinato da investimenti rischiosi. La maggior parte preferisce invece bassi livelli di rischio, anche a costo di rendimenti non elevati. La differenza, ad ogni modo, sarà data dalla scelta del prodotto giusto.
Su Plus 24 de "Il Sole 24 Ore" di sabato 27 febbraio risposta del Centro Studi Consultique sulle "Polizze di rendita"
Su Plus 24 de "Il Sole 24 Ore" di sabato 27 febbraio intervento di Giuseppe Romano, consigliere di Nafop, sulle commissioni differite