Corriere Economia: Fondo pensione più forte del Tfr: i conti da fare e come scegliere il comparto su misura

Consultique
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Corriere Economia: Fondo pensione più forte del Tfr: i conti da fare e come scegliere il comparto su misura

PENSIONE INTEGRATIVA: FONDO PENSIONE PIÙ FORTE DEL TFR: I CONTI DA FARE E COME SCEGLIERE IL COMPARTO SU MISURA
PENSIONE INTEGRATIVA: FONDO PENSIONE PIÙ FORTE DEL TFR: I CONTI DA FARE E COME SCEGLIERE IL COMPARTO SU MISURA


Perché la previdenza integrativa batte il tfr: gli ultimi dati
Nel lungo periodo il fondo pensione è più forte del Tfr. La testimonianza arriva dalla fotografia scattata al 30 giugno 2021 da Covip, che dal 2010 mostra un rendimento medio annualizzato della previdenza integrativa del 3,4%, contro una rivalutazione annua del Trattamento di fine rapporto dell’1,9 per cento. In termini percentuali potrebbe sembrare un divario di poco conto, ma ragionando in «soldoni» il valore aggiunto della pensione di secondo pilastro diventa più evidente.
Una simulazione realizzata dall’Ufficio Studi di Consultique per conto di Corriere.it fa vedere in termini pratici come cambia lo scenario alla fine della propria età lavorativa se si investisse il Tfr nella previdenza integrativa piuttosto che lasciarlo in azienda.

La simulazione: come cresce l’assegno della pensione con l’investimento giusto
La simulazione prende in considerazione un uomo nato il 1° gennaio del 1991 e che ha iniziato a lavorare come dipendente privato a 30 anni (quindi l’1 gennaio 2021), con uno stipendio lordo annuo iniziale di 28mila euro. Per gli anni a venire è stato poi ipotizzata un’inflazione al 2% (che è il target della Banca centrale europea) e una crescita dei redditi futuri dell’1% oltre l’inflazione. Il soggetto in questione potrà accedere al pensionamento a 67 anni e 5 mesi di età, ovvero a giungo del 2058.




Il Tfr lasciato in azienda
Partendo dall’ipotesi formulata da Consultique, lasciando il Tfr in azienda si otterrebbe al termine dell’età lavorativa un montante lordo di 92.238 euro (76.109 euro il montante netto), con una rivalutazione complessiva del 7,27% rispetto al capitale accantonato senza considerare gli interessi (85.985 euro). La quota annuale del trattamento di fine rapporto varia in funzione di un reddito che, secondo l’ipotesi iniziale, cresce ogni anno dell’1% oltre l’inflazione. Sull’arco dei 37 anni di vita lavorativa, comunque, la quota annuale media del Tfr risulta pari a 2.260 euro circa.



La previdenza integrativa: il Tfr in un fondo pensione
Il quadro cambia totalmente se il dipendente dovesse decidere di aderire alla previdenza integrativa, versando quindi il Tfr in un fondo pensione. Anche scegliendo la linea più sicura, ovvero quella “garantita”, che ha i rendimenti più bassi, il montante lordo al termine dell’età lavorativa sarebbe superiore a quello del Tfr: 101.131 euro contro 92.238 euro. E man mano che si alza l’asticella del rischio il montante lordo diventa sempre più consistente: versando il Trattamento di fine rapporto in un fondo pensione obbligazionario, infatti, si otterrebbe un capitale finale di 112.266 euro, che salirebbe a 117.313 euro optando per una linea bilanciata e a 124.651 euro scegliendo il comparto azionario.




I rendimenti tra fondi aperti, fondi chiusi (negoziali) e Pip
Tra fondi aperti, fondi chiusi (negoziali) e Pip (Piani individuali pensionistici), i rendimenti offerti dalle diverse forme pensionistiche cambiano significativamente, soprattutto in considerazione del livello di rischio dei diversi comparti. Stando alla fotografia scattata da Covip al 30 giugno 2021, i fondi chiuso hanno offerto un rendimento medio annualizzato dal 2010 del 3,7%, i fondi aperti del 3,9%, i Pip ramo III (le unit linked) del 3,8% e i Pip ramo I (le gestioni separate) del 2,3 per cento. Performance tutte superiori alla rivalutazione annua del Tfr, pari all’1,9 per cento. Non tutti i comparti, però, sono riusciti a battere il Trattamento di fine rapporto. Tra i fondi chiusi, per esempio, la linea “Obbligazionario Puro” mostra un rendimento annualizzato dello 0,8%, tra i fondi aperti, invece, la linea “Garantita” viaggia sull’1,6%, mentre tra i Pip è il comparto “Obbligazionario” a fare peggio, con una performance annualizzata dello 0,9 per cento. Numeri che testimoniano come una corretta strategia d’investimento possa essere dirimente nella massimizzazione del profitto.




Come scegliere
«La scelta del comparto dipende da molti aspetti, non solo meramente finanziari – commenta Paola Ferrari, CFA e analista Ufficio Studi e Ricerche di Consultique –. È importante considerare il profilo di rischio del cliente, l’orizzonte temporale di investimento e valutare globalmente la posizione patrimoniale (finanziaria e immobiliare) del cliente. Considerando il contesto attuale di bassi tassi di interesse, in questa fase del mercato tendiamo a sconsigliare le linee garantite, in quanto, al netto dei costi, il rendimento offerto è molto basso. E allo stesso tempo, sconsigliamo anche di privilegiare le linee azionarie, visto che questo tipo di investimento ha una finalità previdenziale. Essendo un capitale di integrazione pensionistica, sarebbe opportuno investire il Tfr e gli eventuali contributi volontari e datoriali in comparti non eccessivamente rischiosi», puntualizza.
E allora come scegliere il comparto d’investimento giusto per il fondo pensione? «Per i clienti che hanno davanti a sé ancora molti anni al pensionamento, una buona strategia potrebbe essere quella di partire scegliendo una linea azionaria e all’avvicinarsi dell’età pensionabile trasferire la posizione su comparti via via più prudenti. Qualsiasi strategia si adotti, comunque, è importante sempre leggere con attenzione la nota informativa del fondo, per comprendere la componente dei costi e le caratteristiche di investimento dei singoli comparti», conclude.

di Gabriele Petrucciani
8 settembre 2021