Navigare nella tempesta: i crolli dei mercati e come affrontarli

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Navigare nella tempesta: i crolli dei mercati e come affrontarli

NAVIGARE NELLA TEMPESTA: I CROLLI DEI MERCATI E COME AFFRONTARLI
NAVIGARE NELLA TEMPESTA: I CROLLI DEI MERCATI E COME AFFRONTARLI


Inutile illudersi: le crisi prima o poi arrivano, meglio accoglierle preparati. Quando ai mercati colano a picco può essere difficile mantenere la lucidità necessaria. Gli interventi da compiere sul momento possono essere contro intuitivi. Ma anche una corretta pianificazione è una misura preventiva fondamentale.

Ne abbiamo parlato con il fondatore di Consultique Scf, Luca Mainò

Nessuno sa esattamente quando, ma la storia insegna che i grandi crolli dei mercati, prima o poi, capitano. È un rischio che va messo in conto ed è sempre meglio riflettere sulle strategie da mettere in pratica prima che l'emotività possa avere il sopravvento.

Dalla grande crisi del 1929 i grandi crash dei mercati sono stati almeno quattro: il lunedì nero (1987), la bolla della New economy (2000), la Crisi finanziaria (2008), e la crisi coronavirus (2020). L'ultimo evento traumatico per i mercati ha provocato il crollo più rapido che Wall Street avesse mai sperimentato: nel giro di un mese l'S&P 500 era arrivato a cedere circa il 30%; ma anche il recupero è stato particolarmente tempestivo. In passato, però, non è sempre stato così: per ritornare ai massimi segnati nel 2000, l'S&P 500 impiegò circa sette anni.

Di fronte allo scenario di perdite persistenti, qualsiasi risparmiatore i cui risparmi siano finiti nella tempesta di una crisi cerca risposte: limitare le perdite e vendere? Restare fermi in attesa del recupero? O, per i più audaci, comprare mentre tutti vendono? Per cercare le risposte abbiamo raggiunto il fondatore della società di consulenza indipendente Consultique, Luca Mainò, con il contributo di Enrico Maria Cervellati, professore associato di Finanza Aziendale presso la Link Campus University e Università La Sapienza di Roma.

“Va sempre tenuto conto che i mercati, benché nel medio lungo termine tendano a riflettere le tendenze fondamentali e macroeconomiche, nel breve termine sono soggetti anche ad altri fattori non sempre razionali o di natura tecnica”, ha spiegato Mainò, “si pensi ad esempio, nelle fasi di panico, all'effetto imbuto che si crea quando gli investitori sia retail, che istituzionali, vogliono vendere ed il mercato ha difficoltà ad assorbire la massa di denaro in uscita”. In altre parole, un crollo enorme dei mercati non significa necessariamente che si verificherà un danno enorme sull'andamento dell'economia: le relazioni fra mercato ed economia reale possono essere falsate da alcuni fattori irrazionali. È necessario essere consapevoli dell'aleatorietà e della ciclicità degli andamenti economici, la cui previsione è sistematicamente poco prevedibile anche da parte di soggetti come le banche centrali”, ha affermato il consulente, invitando in qualche modo a mettere in conto questo rischio.

Non tutti gli operatori che vendono in una fase di crisi lo fanno spinti dall'irrazionalità, ma questa componente può essere determinate per gli investitori meno esperti. L'attitudine comportamentale che spinge a vendere è “l'avversione alla perdita”, una sorta di distorsione “per la quale una perdita pesa psicologicamente ed emotivamente circa il doppio di un guadagno dello stesso ammontare”, aveva dichiarato Cervellati in una recente intervista a questo giornale, “per cui, nel dubbio, ci si affretta a chiudere la posizione che sta perdendo, anche per paura che tale perdita aumenti ulteriormente”.

Da una recente ricerca del MIT, commentata dallo stesso Cervellati, era emerso che la vendita dettata dal panico (panic selling) fosse associata anche alla situazione socioeconomica del soggetto: “per esempio, gli investitori con portafogli più ridotti (sotto i 20.000 dollari), oltre i 45 anni, sposati (o divorziati) e con figli a carico sono più predisposti al panic selling”. Si tratta di elementi che un'adeguata pianificazione del rischio avrebbe già dovuto mettere in conto. In determinate situazioni, infatti, si può decidere di rinunciare a potenziali ritorni pur di limitare le perdite nei momenti negativi del mercato (ossia il cosiddetto drawdown).

"Se il portafoglio di investimento è stato correttamente impostato con la pianificazione indipendente 'FeeOnly' (e quindi è coerente con il proprio profilo di rischio/orizzonte temporale ed è finalizzato al raggiungimento di determinati obiettivi), la discesa dei mercati è un'eventualità che deve essere già stata messa in conto”, ha affermato Mainò. La prevenzione, dunque, è il primo passo.

Come navigare nella tempesta, i suggerimenti pratici
La pianificazione, d'accordo. Ma cosa fare quando la bufera si scatena? Una possibile reazione consiste nel limitare le perdite di una fase negativa vendendo con una certa tempestività: una recente ricerca del MIT aveva messo in luce come, nella circostanza della crisi del 2008, questa condotta avrebbe aperto un'opportunità abbastanza ampia per poi reinvestire sui mercati una volta calmate le acque. In generale, però, liquidare parte degli investimenti lascia all'investitore l'onere di scegliere come e quando rientrare nel mercato; di solito ciò avviene troppo tardi e il mancato recupero tende ad annullare il beneficio prodotto dalla precedente limitazione delle perdite durante la fase negativa. “Se l'emotività di alcune fasi di mercato porta a dismettere parte degli investimenti”, ha commentato Mainò, “c'è il problema di trovare il timing per rientrare, operazione complessa e di difficile attuazione anche per i gestori più affermati al mondo”. Prendere il mercato con tempismo sembra un esercizio facile con il senno di poi, ma riuscirci con successo avendo in mano le sole informazioni disponibili sul momento è tutta un'altra storia. Pertanto, il suggerimento di Mainò è un altro.

“Un crollo può essere l'occasione per ribilanciare il portafoglio o per 'rafforzare' la quota di un Piano di accumulo (Pac) in corso”, ha dichiarato il fondatore di Consultique Scf. “Pensiamo ad esempio a marzo 2020, quando l'equity è sceso di oltre il 30%”, ha aggiunto, “un'ipotetica quota di azionario detenuta in portafoglio si sarebbe 'auto-ridotta' al 20%. Se ho un 'masterplan' mentale impostato fin dall'inizio, una correzione di quel tipo sarebbe stata l'occasione per operare un ribilanciamento e riportare l'equity al 30%”. Questo incremento dell'azionario avrebbe permesso, nei mesi successivi di approfittare maggiormente del recupero dei mercati.

“Ma attenzione”, ha precisato Mainò, “questa strategia finanziaria/comportamentale funziona solo se sto investendo in un'asset allocation ben diversificata e non prendendomi rischio specifico”. Più nel dettaglio, “ciò significa, ad esempio, sfruttare i ribassi per comprare azioni nei mercati più capitalizzati o i settori diversificati che godano di buone prospettive di crescita. In questo modo, è possibile attenuare il rischio e collegare il processo di investimento finanziario a dinamiche di lungo periodo”.

In conclusione, però, anche l'arrivo della tempesta sui mercati non dovrebbe scompaginare i piani di lungo periodo fissati dal risparmiatore e la conseguente strategia generale, ha affermato il consulente, “non ha senso preoccuparsi per eventi di breve termine quando, come si verifica empiricamente, le dinamiche che determinano i risultati finanziari di un'asset allocation sono altre”. Nello specifico, “il modo in cui è ripartito il patrimonio per asset class, la presenza di un'efficace diversificazione complessiva e l'uso di strumenti efficienti e poco costosi”.

Eugenio Teti

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