Oltre 23 miliardi di obbligazioni sono senza mercato e non fanno prezzo

Consultique
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Oltre 23 miliardi di obbligazioni sono senza mercato e non fanno prezzo

Almeno 160 prodotti
non sono quotati e
vengono riacquistati
solo dalla banca che
li emette. Se non accetta,
resti con il cerino in mano.

 
I numeri
  • TITOLI:Dai dati degli analisti la mappa delle obbligazioni subordinate conta ben 161 titoli
  • IL PREZZO: il fatto che questi titoli non abbiano mercato rende il prezzo quasi mai congruo
  • LE EMISSIONI: le attuali emissioni ammontano a 23,67 miliardi in euro, 4,1 miliardi in dollari, 5,84 miliardi in sterline, 280 milioni in dollari australiani e 300 milioni in dollari di Singapore
Fare una fotografia del mercato delle obbligazioni subordinate non quotate è difficile, se non impossibile. Non essendo scambiate su un mercato regolamentato, l’unico modo per conoscerne il prezzo è recarsi in banca o ricorrere all’home banking. Secondo i dati di Skipper Informatica (che rappresentano la gran parte ma non la totalità del mercato), ad oggi ci sono 161 titoli subordinati (nella tabella a fianco abbiamo selezionato le emissioni più importanti) non quotati senza mercato con un capitale emesso così suddiviso: 23,67 miliardi in euro, 4,1 miliardi in dollari, 5,84 miliardi in sterline, 280 milioni in dollari australiani e 300 milioni in dollari di Singapore. Il capitale circolante differisce di poco perché la maggior parte dei prodotti viene rimborsato a scadenza in un’unica soluzione senza passare attraverso un piano di ammortamento in cui si rimborsa poco a poco il capitale. In euro ci sono 23,48 miliardi, il che significa che sono stati rimborsati solo 190 milioni. Valori in crescita e non in calo come le dichiarazioni di Bankitalia e della politica aveva fatto immaginare lo scorso dicembre. La vera differenza con le obbligazioni subordinate quotate è che queste sono ancora più difficili da vendere. Di solito, l’unica disposta a farsi avanti per il riacquisto è la banca stessa che le ha emesse.
 
Grandi investitori
E non sempre. «Certamente le subordinate non quotate non sono prodotti adatti all’investitore medio», spiega Patrizio Basile, esperto del mercato obbligazionario che lavora per la società di consulenza finanziaria veronese Consultique. «Innanzitutto non ci sono una domanda e un’offerta vere e proprie e, quando ci sono, sono veramente scarse. Questo fa sì che il prezzo non sia mai congruo. Anche perché di solito l’ente che è disposto a comprarlo è uno solo, la banca che ha emesso il bond. E gli istituti», dice, «hanno spesso l’interesse a comprare le loro obbligazioni a condizioni vantaggiose». Insomma, le obbligazioni subordinate non quotate sono prodotti descritti come liquidi e vendibili ma in realtà spesso non lo sono. «Di solito le banche, e non sempre ce l’hanno, devono avere sul loro sito una politica di pricing in cui vengono spiegate le modalità con cui si determina il prezzo delle obbligazioni da riacquistare», spiega Basile. «È una prassi che viene da una comunicazione della Consob del 2009 che imponeva alle banche di determinare la liquidabilità dei loro titoli che poteva essere data con strumenti quotati (e quindi liquidi per definizione), con l’impegno assoluto da parte dell’istituto di riacquistare qualsiasi titolo in base al prezzo di mercato determinato secondo la policy di pricing oppure garantendo la negoziazione in contropartita diretta. Il problema», dice, «è che queste policy sono talmente stringenti, piene di cavilli e vincoli che il titolo è difficilmente vendibile. Per esempio, in alcune di queste abbiamo trovato che la banca non si impegna a riacquistare le obbligazioni nel momento in cui la somma cumulata di determinati indici è uguale a dieci centesimi. Non ci vuole nulla a fare in modo di raggiungere questo valore e rendere il titolo invendibile. A volte c’è il limite di 50.000 euro per obbligazione. Di fatto la banca sta rendendo un titolo formalmente liquido sostanzialmente illiquido».
 
Normativa
In più sui subordinati c’è un altro problema, dice Basile. «Se si va a guardare il prospetto di questi prodotti, quando sono stati emessi, si può leggere che può essere riacquistata una quantità di titoli che non può eccedere la normativa di vigilanza della Banca d’Italia all’epoca vigente, molto spesso non più del 10% dei subordinati. Quindi i subordinati quotati e non, già al momento dell’emissione potevano diventare velocemente prodotti illiquidi per regole della vigilanza fissate proprio per la natura dei titoli stessi». In poche parole cosa succede per chi vuole rivendere uno di questi prodotti? Anche quando vengono soddisfatte le condizioni spiegate nella policy di pricing, il prodotto resta invendibile. In più, a seguito di tutte le normative sul bail-in, di recente è stata introdotta una nuova norma che impone alla banca di poter comprare titoli subordinati non quotati a condizione che siano soddisfatti alcuni requisiti patrimoniali o ci sia l’autorizzazione dalla Banca d’Italia».
 
Vendita
In poche parole rivendere subordinati non quotati su un mercato regolamentato sembra ogni giorno più difficile. «Con tutte le normative introdotte dalla vigilanza», dice l’esperto, «le banche stanno spingendo per portare tutte le emissioni sui mercati regolamentati, soprattutto su mercati come l’EuroTlx o altri che costano meno in base ai volumi potenzialmente negoziabili. «Ad ogni modo, in soccorso dei possessori di subordinati stanno intervenendo le nuove disposizioni di Vigilanza che, per alcuni subordinati ha previsto la non computabilità ai mezzi propri, e quindi la negoziabilità al di fuori dei limiti di vigilanza e solo nell’a m bi to delle policy di negoziazione. Se un investitore ha la fortuna di avere questi titoli, può venderli come una qualsiasi obbligazione normale non quotata», sottolinea Basile.
 
Raccomandazione
Proprio su questo tema ieri la Consob ha approvato una raccomandazione finalizzata a impedire che possano ripetersi casi come quello della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, in cui un intermediario vende ai risparmiatori strumenti finanziari illiquidi, magari di propria emissione, che vengono scambiati solo sui ‘borsini’ interni, con riflessi negativi sulla liquidabilità e sulla corretta formazione del prezzo. «Gli scambi di strumenti finanziari», afferma la Consob in una nota, «dovranno migrare verso piattaforme multilaterali di negoziazione accessibili a tutti e caratterizzate da maggiore trasparenza ed efficienza rispetto agli scambi bilaterali fra intermediario e cliente». C’è da sperare che non sia l’ennesima promessa.