Sabato 22 novembre - Plus 24, p.11
LA LETTERA
Mia figlia, 26enne, ha lavorato per alcuni anni come libera professionista (partita Iva). In quel periodo abbiamo aderito ad Amundi Seconda Pensione – linea azionaria – versando contributi mensili per circa due anni.
Da due anni, invece, è dipendente: abbiamo chiuso la partita Iva e lei ha aderito al fondo negoziale Fon.Te, al quale confluiscono Tfr e contributo personale, con relativo contributo del datore di lavoro. Da allora abbiamo sospeso i versamenti sul fondo aperto perché le risorse servivano per i suoi progetti di vita. Chiedo un consiglio: ha senso fare uno sforzo e riprendere, anche con una piccola cifra, i versamenti su Amundi Seconda Pensione? Oppure, avendo già attivo il fondo negoziale Fon.Te, non è particolarmente utile?
Paolo
Il caso della figlia del lettore è oggi piuttosto comune tra i giovani che hanno alternato periodi da liberi professionisti e da dipendenti, ritrovandosi con due strumenti di previdenza integrativa diversi: un fondo aperto sottoscritto durante la fase autonoma e, successivamente, un fondo negoziale di categoria collegato al nuovo impiego.
«La scelta di aderire a un fondo pensione di categoria è ottimale, in quanto consente di beneficiare del contributo del datore di lavoro e, al tempo stesso, di costi di gestione più contenuti rispetto ai fondi aperti, essendo frutto di accordi collettivi», spiega Paola Ferrari, esperta previdenziale e consulente finanziaria della società di consulenza indipendente Consultique.
Nel caso di Fon.te l’Isc (indicatore sintetico di costo) della linea garantita con un orizzonte temporale di 10 anni è dello 0,56% annuo contro una media dei fondi negoziali dello 0,46%, che sale all’1,21% dei fondi aperti fino all’1,87% dei piani individuali pensionistici.
Più ridotti sono anche gli indicatori di costo delle linee bilanciate e azionarie pari a 0,29% contro Isc medi che sono rispettivamente dello 0,35% e dello 0,40% per i negoziali e dell’1,43% e dell’1,72% per i fondi aperti.
Per i Pip il conto è ancora più salato: i bilanciati hanno un Isc annuo del 2,77% che sale al 2,71+% per gli azionari.
«La decisione di riattivare o meno i versamenti su Amundi SecondaPensione va però inserita in un quadro di pianificazione più ampio, che tenga conto delle priorità personali, della disponibilità finanziaria e della natura vincolata del risparmio previdenziale» aggiunge Ferrari.
Le somme versate in un fondo pensione, infatti, non sono liberamente prelevabili: l’obiettivo è costruire nel tempo un capitale destinato alla pensione, con possibilità di accesso anticipato solo in casi particolari, come l’acquisto della prima casa o spese sanitarie importanti.
Per questo motivo, prima di aumentare la quota di risparmio nella previdenza integrativa, è fondamentale assicurarsi di avere una sufficiente riserva di liquidità e la libertà di gestire le proprie risorse per progetti attuali personali o professionali.
«In questa prospettiva, sospendere i versamenti su Amundi non è una scelta sbagliata – spiega Ferrari –. Il capitale accumulato continua comunque a essere investito e rivalutato e la posizione potrà essere ripresa in futuro. Riattivare i versamenti potrebbe avere senso solo se si desidera sfruttare pienamente la deducibilità fiscale fino al limite previsto di 5.164,57 euro in modo da incrementare le entrate previdenziali al pensionamento e diversificare la strategia di investimento».
La previdenza complementare resta uno strumento prezioso, ma deve essere calibrata nel contesto complessivo della propria pianificazione finanziaria.
La chiave è trovare equilibrio tra la necessità di garantire un reddito futuro e quella di mantenere oggi una certa flessibilità.
«Anche piccoli versamenti regolari, purché sostenibili, possono fare la differenza nel lungo periodo: l’importante è costruire un percorso coerente con le proprie tappe di vita, senza forzature e con la consapevolezza che il tempo, nella previdenza, è il miglior alleato e consente anche di beneficiare di trattamenti fiscali finali più favorevoli», conclude Ferrari.