Plus24 | Rivalutazione Tfr. Dopo il boom del 2022 (8,3%) si torna alla normalità

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Plus24 | Rivalutazione Tfr. Dopo il boom del 2022 (8,3%) si torna alla normalità

Plus24 | Rivalutazione Tfr. Dopo il boom del 2022 (8,3%) si torna alla normalità

Sabato 9 dicembre - Plus 24, p.7

Secondo le stime le liquidazioni nel 2023 saranno rivalutate del 2,25%

Cosa accadrà alla rivalutazione del Tfr nel 2023? Se nel 2022 il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti (non versato in eventuali forme di previdenza complementare) è stato rivalutato dell’8,3% lordo (dati Covip), proprio a causa dell’impennata dell’inflazione, nel 2023 le cose cambieranno tornando a una situazione “new normal”. Il rallentamento del carovita avrà infatti anche delle conseguenze anche sull’aggiornamento annuale delle liquidazioni.

Innanzitutto è bene ricordare che il fondo Tfr accantonato al 31 dicembre di ogni anno (escluso le quote maturate nell’anno stesso) viene rivalutato sulla base di un apposito coefficiente. La rivalutazione si effettua alla fine di ciascuno anno o al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Il coefficiente di rivalutazione è composto da un tasso fisso, nello specifico l’1,50% e da uno variabile, pari al 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo, per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall’Istat, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Nei casi di cessazione del rapporto di lavoro l’indice Istat è quello che risulta nel mese in cui è avvenuta l’interruzione.

Il Tfr versato nei fondi pensione invece, non ha una rivalutazione certa, ma segue l’andamento del comparto. Pertanto, il rendimento può anche essere negativo. L’alta inflazione a cui abbiamo assistito ha favorito il Tfr lasciato in azienda, che in un orizzonte di 3 e 5 anni batte il rendimento di quasi tutte le linee dei fondi pensione negoziali e aperti. Su un orizzonte di 10 anni fanno meglio le linee bilanciate e azionarie dei fondi pensione. Le linee garantite dei fondi pensione, come ha già scritto da Plus24 del 2 settembre 2023, hanno avuto una performance deludente sia rispetto agli altri comparti, sia rispetto al Tfr: questo è dovuto al fatto che abbiamo assistito per anni a rendimenti nulli del mercato obbligazionario e poi, ad un rialzo dei tassi di interesse importante che ha determinato una svalutazione dei titoli obbligazionari in portafoglio.
Su un orizzonte di lungo periodo le linee bilanciate e azionarie hanno battuto in maniera importante il rendimento del Tfr in azienda, tuttavia si tratta anche delle linee di investimento più rischiose, non adatte a chi ha un profilo di rischio prudente o è prossimo al pensionamento.

Cosa succederà nel prossimi mesi? «In merito alla rivalutazione dell’inflazione, guardando gli inflation swap del Foi, si stima un’inflazione attesa per il prossimo anno attorno all’1%, quindi ci si potrebbe attendere una rivalutazione del Tfr in azienda attorno al 2,25% lordo, ma si tratta solo di una stima» osserva Paola Ferrari, analista di Consultique. Difficile, invece, prevedere l’andamento dei mercati finanziari e quanto abili saranno i gestori dei fondi pensione, ma stando ai trend dei mercati obbligazionari si potrebbe realizzare un recupero anche per queste asset class.

«Un aspetto da considerare è che per quei lavoratori che aderiscono ad un fondo pensione di categoria, versando oltre al Tfr un contributo minimo volontario, hanno diritto ad un contributo datoriale, che può quindi compensare l’eventuale minor performance del fondo pensione – aggiunge Ferrari –. È importante che ogni lavoratore o individuo faccia pianificazione previdenziale e scelga di aderire alla previdenza complementare in maniera consapevole, sulla base della sua effettiva situazione lavorativa e patrimoniale.
Oltre al fatto che bisogna considerare i vantaggi fiscali previsti per chi aderisce: i contributi versati a previdenza complementare sono deducibili dal reddito fino ad un massimo annuo del 5.164,57 euro (il è Tfr escluso dal conteggio).
In sostanza viene abbassata la retribuzione lorda su cui il lavoratore andrà a pagare l’Irpef: questo comporta una riduzione di tasse che dipende sostanzialmente dall’aliquota marginale Irpef (con un risparmio massimo che può arrivare al 43% per redditi oltre i 50mila euro).

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