Plus 24 | Sui titoli non quotati serve più attenzione dalle imprese

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Plus 24 | Sui titoli non quotati serve più attenzione dalle imprese

Plus 24 |  Sui titoli non quotati serve più attenzione dalle imprese

Sabato 14 giugno - Plus 24, p.5

Non vengono (probabilmente) considerati investimenti in senso stretto. Ma i detentori di azioni e partecipazioni italiane ed estere - che secondo i dati di Banca d’Italia ammontano complessivamente a 1.754 miliardi di euro (il 30,1% del totale delle attività finanziarie delle famiglie) - dovrebbero gestire i possibili rischi derivanti da alcuni di questi “strumenti”. Per comprendere bene la voce descritta da Palazzo Koch in «Azioni e partecipazioni» bisogna però fare dei doverosi distinguo. Andiamo con ordine.

La fotografia di Banca d’Italia
Dei 1.754 miliardi di euro (come detto quasi un terzo delle attività finanziarie di famiglie e imprese), la parte preponderante, la fanno le azioni e partecipazioni italiane: 1.608 miliardi (27,8%), mentre i rimanenti 146 miliardi sono investiti in azioni estere. Di questi 1.754 miliardi, però, soltanto 78 miliardi (4,4%) sono le singole azioni quotate in portafoglio alle famiglie italiane: i rimanenti 1.676 miliardi non fanno riferimento alla Borsa ma ad aziende non quotate, cioè partecipazioni dirette degli italiani in aziende - e imprese familiari - tramite quote di proprietà di società.

Niente investimenti diretti in singoli titoli azionari quotati in Borsa, dunque, se non per la quota di strumenti azionari presenti all’interno dei prodotti di risparmio gestito (circa 850 miliardi, più 100 miliardi rispetto a un anno prima). Non poco questo incremento, che forse potrebbe contrastare l’idea dell’investitore italiano particolarmente avverso alle azioni e legato principalmente alle obbligazioni (specie se effettuato in BTp, si veda articolo in alto).

Una crescita difforme
Approfondendo i dati si nota come da fine 2019, cioè poco prima del Covid, queste grandezze siano cresciute in maniera totalmente diversa. «Il totale della ricchezza azionaria non quotata – spiega l’economista Giampaolo Galiazzo - è passato da 990 miliardi a 1.608 miliardi, con una crescita del 62%. Anche la ricchezza azionaria non quotata degli italiani all’estero è cresciuta in maniera robusta, del 70%, passando da 86 a 146 miliardi. La ricchezza degli italiani in azioni quotate è invece passata da 61 a 78 miliardi, crescendo molto meno, del 26%. La cosa che fa ancora più riflettere è che i valori delle aziende non quotate sono calcolati con i bilanci, e quindi, per usare un termine in voga negli ambienti finanziari, con un rapporto price/book pari a 1. Le azioni quotate, invece, sono valutate con un rapporto price/book pari a 1,57. Se applicassimo questo parametro alle aziende non quotate – continua Galiazzo - avremmo un valore addirittura di 2.524 miliardi. Forse è questo il vero tesoro che gli italiani non si rendono conto di avere a disposizione».

Come gestire le partecipazioni
La Banca d’Italia considera, dunque, il rischio relativo alle imprese a conduzione familiare all’interno del rischio azionario. «Gli imprenditori – avverte Rocco Probo, analista di Consultique Scf – sottovalutano questo pericolo a livello di pianificazione finanziaria a causa di bias comportamentali che tendono a sottostimare il rischio di investimenti su cui si ha un controllo più diretto. Questo rischio deve invece essere adeguatamente considerato soprattutto in termini di diversificazione anche perché sono “strumenti” più difficilmente vendibili rispetto a un titolo azionario quotato. Anche questo rischio – trasponendo la percentuale del portafoglio ipotizzato su quello di uno specifico investitore – deve essere adeguatamente considerato e valutato» .

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